giovedì 28 agosto 2014

Roma: l'insostenibile leggerezza dei controlli nella metropolitana di Roma

Roma, 28 agosto 2014.
Ieri mattina intorno alle 11, alla stazione della metropolitana Piramide si sono verificati diversi furti di portafogli, telefonini ed altri oggetti di valore ai danni di malcapitati viaggiatori che, accortisi di avere i propri zaini o le proprie borse aperte, hanno dapprima imprecato verso gli autori del borseggio ormai dileguatisi, poi con fare rassegnato e tanta rabbia, sono andati a denunciare il fatto al più vicino posto di polizia. Questa scena si ripete ormai da troppo tempo. Accade infatti sempre più spesso di osservare sulle banchine delle più affollate stazioni delle linee A e B della metropolitana romana, bande di zingarelli e zingarelle, soprattutto ragazze minorenni, nell’intento di sfilare portafogli agli ignari e distratti passeggeri. Riconoscerle è semplice. Anche per occhi allenati. Portano in braccio dei fagotti che sembrano neonati, nascosti da coperte sotto le quali agiscono leste mani che si intrufolano nelle borse e negli zaini delle malcapitate vittime, per lo più persone anziane e turisti.

All’arrivo del treno puntano con lo sguardo coloro che ritengono più vulnerabili e, nel momento di maggior confusione, quando si aprono le porte dei vagoni per la salita e la discesa dei passeggeri, gli si buttano addosso e come in un gioco di prestigio, ecco il portafogli sparire.

Le cause di questo fenomeno sono da riscontrarsi nell’incapacità di chi gestisce il trasporto pubblico locale di fornire una risposta adeguata al crescente numero di viaggiatori che, specialmente in determinate fasce orarie, sono costretti a fare a spintoni pur di riuscire ad entrare nei vagoni; nell’utilizzo di treni obsoleti non più adatti a contenere un tale numero di utenti; nella mancanza di sorveglianza da parte di polizia, carabinieri o vigilanza privata e nella assenza di norme volte a prevenire e fermare questa situazione di vergogna per la nostra città.

Il personale di stazione, consapevole del problema, si giustifica così: “Lo sappiamo. E’ un fenomeno che si verifica da anni ma siamo impotenti” E ancora: “Sono tutti minorenni e privi di documenti. Li possiamo allontanare ma subito dopo li ritroviamo ancora qui”.

Un consiglio mi sento di darlo. Quando vedete queste bande di zingarelle, fate notare loro che le tenete d’occhio, coinvolgete i vostri vicini di viaggio avvertendoli del pericolo e così, sentendosi osservate non entreranno e almeno in quel vagone non vi saranno borseggi. Tutto ciò non porrà fine al triste fenomeno ma, in attesa che si faccia veramente qualcosa per restituire a Roma la sua bellezza ed il decoro che si conviene ad una grande città, il vostro portafogli per questa volta sarà salvo.

Le stazioni della metropolitana nelle quali è maggiormente attiva questa attività di borseggio, oltre a Termini sono: Repubblica, Barberini e Spagna per quanto riguarda la linea A e Piramide e Colosseo per la linea B.

mercoledì 6 agosto 2014

A Roma è di scena la Bellezza

In una delle sale del Chiostro del Bramante, dove è stata allestita la mostra dal titolo “Alma-Tadema e i pittori dell’800 Inglese. Collezione Pérez-Simòn”, vi è una scritta che recita: “E’ difficile restare arrabbiati quando c’è tanta bellezza nel mondo”.
Il mondo che ci aspetta dopo aver varcato i tornelli è in tutti i sensi impregnato di Bellezza. Ti circonda, ti inebria, ti stordisce a tal punto da farti dimenticare che fuori di lì esiste il mondo vero, la frenesia, il caldo, il tempo che scorre. Ci troviamo immersi nella spasmodica ricerca del Bello, nell’Arte allo stato puro. L’Arte per l’Arte che non si consegna al trascorrere della vita e non invecchia.
Vi troviamo capolavori di F. Leighton e J.W. Waterhouse, di D.G. Rossetti e J.E. Millais, rispettivamente fondatore e cofondatore della Confraternita dei Preraffaelliti, movimento artistico-letterario che affiancava alla devozione e all’attrazione verso i maestri del Rinascimento prima di Raffaello, i temi della letteratura inglese, nonché di Sir Lawrence Alma-Tadema i cui capolavori fanno da sfondo all’intera esposizione e che furono dipinti con l’intento di ricercare la bellezza ideale, pura e l’armonia visiva dell’opera.
Passeggiando tra le varie tele ci immergiamo nell’Inghilterra Vittoriana e in uno dei suoi aspetti più contraddittori: la donna. La donna come essere puro e come fonte centrale di ispirazione, sempre circondata dai fiori, altro punto centrale della mostra e tema ricorrente nella letteratura inglese di fine ottocento strettamente legata al culto della Bellezza, come ci dimostrano le prime righe del romanzo di Oscar Wilde “Il Ritratto di Dorian Gray”: Lo studio era pervaso dall'odore intenso delle rose e, quando tra gli alberi del giardino spirava la leggera brezza estiva, dalla porta spalancata entrava l'intenso odore dei lillà, o il più delicato profumo della rosa canina.
Ad aprire la mostra è un dipinto del 1890 di Alma-Tadema dal titolo “A Love Missile” dove la classicità di una villa romana con tutto il suo sfarzo, è lo scenario per esaltare la bellezza femminile, dai tipici tratti inglesi, rappresentata da una fanciulla sedotta dall’intenso profumo del mazzo di fiori che tiene in mano.
I fiori sono la quintessenza della bellezza, rappresentano il messaggio d’amore, lo specchio dei sentimenti, degli stati d’animo e passo dopo passo il loro profumo si percepisce a livello visivo ed olfattivo.
Proseguendo tra i vari quadri troviamo un capolavoro del 1895 di Arthur Hughes dal titolo “A Passing Cloud”, che raffigura una ragazza dall’aria triste con la testa appoggiata sulla sommità del caminetto, la mano destra sulla fronte mentre la sinistra stringe una lettera che evidentemente non le ha portato buone notizie. Il suo setter irlandese, simbolo di fedeltà, la guarda come a volerla rassicurare e sulla destra si notano un quadretto con una casa eseguita in punto croce, tipica occupazione delle fanciulle dell’Età Vittoriana ed una finestra dalla quale si intravede un giardino pieno piante e fiori i cui colori contrastano con lo stato d’animo desolato della ragazza.
Il titolo di questa opera è tratto da un episodio della commedia shakespeariana “I Due Gentiluomini di Verona”, quando Proteo paragona la sua tristezza per non poter sposare l’amata Giulia per volontà del padre, alle nuvole che in primavera offuscano improvvisamente il sole.
Una tela di grande forza espressiva è anche quella dipinta nel 1902 da John William Waterhouse, “The Crystal Ball” nella quale troviamo Agrippina che contempla con tristezza e rancore l’urna con le ceneri del marito Germanico avvelenato durante una campagna militare.
L’intreccio tra letteratura, storia e mito è molto frequente tra i Preraffaelliti e spesso si trovano quadri che hanno per titolo versi di poesie, come per esempio “Oh, For The Touch of a Vanished Hand” dipinto nel 1900 da Charles Edward Perugini che riprende i versi della poesia “Break, break, break” di Lord Alfred Tennyson, nel quale la mano sinistra della ragazza raffigurata è come se cercasse una mano di chi non c’è.
Anche il poeta inglese Algernon Charles Swinburne è presente nelle opere di questi pittori vittoriani, ed una sua frase: “Tutto il Paradiso dei Paradisi in un piccolo bambino” è fonte d’ispirazione per un quadro del 1891 di Alma-Tadema dal titolo “An Earthly Paradise” nel quale possiamo osservare una madre inginocchiata e protesa verso il proprio figlio, sdraiato in posizione supina su di un elegante divano di legno con cuscini beige e fiori profumati accanto. Ritorna il tema della donna vittoriana che ha tra i suoi compiti quello di dedicare tempo ai suoi bambini.
La visita di questo mondo nel quale siamo entrati sta quasi per terminare. Ci si può soffermare ad osservare su comode poltroncine un ultimo capolavoro di Alma-Tadema, un dipinto del 1888 dal titolo “The Roses of Heliogabalus” nel quale è rappresentata, a completamento della tematica portante della mostra, la scena in cui l’imperatore romano Eliogabalo, regnante col nome di Marco Aurelio Antonino, inonda i suoi ospiti con una cascata di petali di rosa talmente copiosa da farli rimanere soffocati. Questa cascata di fiori saluta i visitatori ma non li soffoca. Ci prepariamo a raggiungere l’uscita, non prima di aver letto nella sala adiacente un verso di una poesia di Walt Whitman: “Bouquet di rose da per tutto, oh morte, e io di rose ti copro”.
Le donne vittoriane, i fiori simbolo di amore e sofferenza, ville romane, ambientazioni orientali, ricerca della Bellezza, atmosfere gotiche. E’ stato bello perdersi in questo scenario per abbondanti due ore, lontano secoli dalla confusione e dai ritmi ossessivi della metropoli.

In cammino verso la modernità

Nulla accade per caso.
Il caldo di fine giugno o le piogge di luglio. La città che non si svuota più e la città che accoglie turisti. Le fontane romane che dispensano acqua a non finire e negozi che tentano di attrarre quanti più clienti invogliandoli ad acquistare a prezzi scontati ma non stracciati.
In questo scenario estivo, a due passi dalla Galleria Sciarra in Via Minghetti, all’interno del Museo Fondazione Roma, si è svolta la mostra dal titolo: HOGARTH REYNOLDS TURNER. PITTURA INGLESE VERSO LA MODERNITÀ.
La modernità è vista attraverso gli occhi di artisti che, fin dalla prima metà del 1700, iniziavano a comprendere cosa volesse dire entrare in una nuova era, fatta di imponenti costruzioni, di nuove scoperte scientifiche, di importanti invenzioni che porteranno la Gran Bretagna ad essere un punto di riferimento in tutta Europa per oltre un secolo.
Ad introdurci in questo scenario è un’opera del pittore italiano Marco Ricci, dal titolo “View of the Mall in Saint James's Park”. Questo olio su tela, dipinto probabilmente tra il 1709 e il 1710 ci catapulta in una passeggiata alberata e ci fa percorrere il lungo viale che porta alla metropoli londinese, della quale svettano a sinistra la Elizabeth Tower e a destra la St Paul's Cathedral che proprio in quegli anni veniva terminata. Il viale è molto affollato, perché il parco era il luogo preferito dalla borghesia per incontrarsi, passeggiare, parlare e decidere a volte importanti questioni.
Il così detto “Vedutismo” si arricchisce di un’altra opera importante, quella di Samuel Scott che come in una fotografia ante operam fissa sulla tela lo stato dei lavori della costruzione del ponte di Westminster alla data del 1742. Inconcepibile oggi l’idea di dipingere un cantiere, ma all’epoca in cui il dipinto fu terminato, la costruzione del ponte era percepita come un prodigio dell’ingegno umano e considerata l’opera più ardita d’Europa.
Degno di menzione è senza dubbio il dipinto che segue, quello di un altro pittore italiano, Giovanni Antonio Canal, veneziano, conosciuto con il nome di Canaletto. Dopo averci consegnato vedute di Padova e Venezia, si trasferisce a Londra firmando altri capolavori. Nel caso specifico ci chiede di soffermarci sotto un’arcata del ponte di Westminster ormai quasi terminato. Non possiamo fare a meno di alzare lo sguardo verso un luminoso cielo italiano che ha poco di anglosassone, ma che è simbolo di perfezione con la sua luce e il suo azzurro penetrante. La città di Londra divisa in due dal Tamigi ed un secchio che pende sulla destra del quadro, arricchiscono ancor di più questa tela di particolari e ci fanno capire che la città non dorme mai, il lavoro non si ferma. E’ la modernità a chiedere ritmi sempre più intensi.
Londra è una città moderna, i suoi artisti ne percepiscono la grandezza e ne sono orgogliosi. Questo orgoglio traspare dalle parole di Daniel Defoe nel suo racconto in tre volumi “A Tour Trough The Whole Island of Great Britain”, parole che non lasciano dubbi circa il punto di vista sulla modernità: “(…) nuove imprese commerciali, invenzioni, macchine, manufatti, in una Nazione che va avanti e progredisce sotto i nostri occhi. Tutto ciò apre nuovi scenari ogni giorno e fa si che l’Inghilterra mostri una faccia nuova e diversa”. La faccia nuova dell’Inghilterra della quale scrive ancora: “Dovunque andiamo e da qualsiasi parte guardiamo, osserviamo qualcosa di nuovo di significativo, qualcosa che val bene il soggiorno di un viaggiatore e l’interesse di uno scrittore”. Non poteva quindi che essere Londra lo specchio di tale orgoglio “(…) considero questa città, uno dei posti più gradevoli d’Inghilterra”.
Lasciamo per un momento la Letteratura per riprendere il cammino attraverso i corridoi della mostra alle cui pareti troviamo, per dare un senso di continuità alle parole di Defoe, ritratti di illustri uomini rappresentativi della modernità inglese come  Richard Arckwright, paffuto e brillante ingegnere e uomo d’affari che grazie alle sue invenzioni in campo manifatturiero contribuì non poco allo sviluppo dell’industria tessile durante i primi anni della Rivoluzione Industriale. Altro ritratto è quello di Letizia Ann Saga, prima donna a sorvolare i cieli di Londra e la passione per il volo, altra conquista della modernità, è impressa sulla tela di Julius Cesar Ibbetson dal titolo “The Ascent of Lunardi’s Balloon from St. Geoge’s Field, London” che celebra l’impresa dell’Italiano Vincenzo Lunardi che nel 1784 volò per più di due ore a bordo di una mongolfiera.
Tutta l’Inghilterra del tempo è catturata da uno spirito nazionalistico che rispecchia la fierezza di un Popolo nel pieno del proprio sviluppo economico, culturale ed artistico che non può non essere esaltato. Ecco dunque nella sala successiva la raffigurazione di due scene teatrali, una tratta dalla rappresentazione del Macbeth l’altra dell’Amleto, dipinte rispettivamente da Johan Joseph Zoffany e da Francis Hayman.
La mostra volge alla conclusione, resta da visitare l’ultima sala, quella che ci fa venire voglia di non andare via. A sinistra alcuni dipinti di Joseph Mallord William Turner tra i quali spicca “Paesaggio a Nepi, Lazio, con acquedotto e cascata” risalente al suo viaggio in Italia nel 1828, nel quale, quasi come un precursore del Simbolismo, cerca di raffigurare la luce del cielo italiano, una luce che lo colpisce a tal punto da essere motivo, qualche anno più tardi, di un suo nuovo viaggio in Italia. Non è certo la luce il tema principale delle opere di John Constable, sulla destra, ma se osservando la grande tela di circa due metri di lunghezza dal titolo “Salisbury Cathedral from the Meadows” dipinta nel 1831, vi troverete immersi in quel paesaggio che state osservando, allora il pittore, l’artista più in generale avrà fatto il suo dovere, avrà smosso l’animo dell’osservatore spingendolo oltre, facendo diventare quella raffigurazione motivo di un viaggio.
Tutta la mostra in realtà è un viaggio. Questo peregrinare tra campagna inglese, cieli italiani, invenzioni, ritratti e parole celebrative di un’epoca fondamentale per il futuro sviluppo della Gran Bretagna, si conclude con una poesia di William Wordsworth dal titolo “Lines Written in Early Spring”: “Se questa fede ci giunge dal cielo, se questo è il progetto sacro della Natura, non ho allora ragione di lamentarmi di ciò che l’uomo ha fatto dell’uomo?” Ecco l’Artista che fa riflettere l’uomo. La gioia semplice ed incontrastata della Natura e la malinconia per qualcosa che sta cambiando. E’ il prezzo che si deve pagare. Noi leggiamo, osserviamo, ci emozioniamo e rattristiamo, percorriamo con la mente ancora una volta i corridoi della mostra prima di riconsegnarci al caos della grande metropoli, contraddittorio risultato della modernità.